Secondo wikipedia, il bias cognitivo è "un pattern sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nel giudizio. In psicologia indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all'evidenza, sviluppata sulla base dell'interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio".
Solitamente l'essere umano utilizza il bias, in maniera più o meno conscia, come una sorta di scorciatoia mentale, per poter prendere decisioni in fretta e senza particolari sforzi cognitivi.
Questa soggettivazione della realtà, secondo la formulazione del 2002 di Kahneman e Frederick , rientra nella categoria delle euristiche, differendo da queste a livello di funzionalità: un bias infatti non si basa su dati di realtà acquisita ma si comporta al contrario come un pregiudizio, acquisito dalla nostra mente a priori e come tale acriticamente validato.
Va da sé che una qualsiasi selezione di personale sia spesso (sempre?) soggetta ad interferenze da parte dei bias cognitivi.
Quali sono i principali bias che dobbiamo tenere sotto controllo durante le nostre valutazioni e come possiamo fare per poterli evitare?
Il funzionamento dei bias e come influenzano la nostra selezione.
Pur cercando di oggettivare il nostro processo di reclutamento, ogni selezione implica una scelta che a sua volta si poggia su un giudizio.
Quando stiamo valutando una lista di candidati, può succedere di imbatterci involontariamente nell' effetto recency, ovvero quel particolare bias che ci permette di estrapolare più facilmente nella nostra memoria le informazioni più recenti. Per questo motivo, il brillante candidato che abbiamo appena selezionato partirà sempre avvantaggiato, a parità di skills, nei confronti di coloro che abbiamo incontrato prima di lui.
Stretto parente dell'effetto recency e l'effetto della mera esposizione, ovvero quel costrutto mentale che ci farà preferire ciò che a noi è più famigliare. A parità di skills tra diversi candidati, darete precedenza ad un candidato incontrato per la prima volta o a colui con cui avete instaurato un rapporto professionale già da tempo?
Classico esempio di mera esposizione.
Al contrario, quando ci approcciamo per la prima volta ad un candidato, la "prima impressione" sarà il driver che indirizzerà il nostro colloquio. Questa interferenza, in gergo, si definisce effetto primacy. Una stretta di mano troppo forte o troppo debole, una gestualità particolare, il tono della voce...; ogni elemento che immagazziniamo appena conosciamo un individuo ne determina, nel nostro inconscio, una sua caratterizzazione.
Legato all'effetto primacy è il bias definito come effetto alone: la prima impressione che registriamo di un candidato non solo nella nostra mente si trasformerà in un'etichetta ma, a cascata, influenzerà tutti i giudizi successivi che formuleremo su quella persona.
La pericolosità del candidato "perfetto".
Reclutare, si sa, è un processo di reciproca persuasione.
Quando la persona che stiamo selezionando sembra perfettamente combaciare con il nostro "profilo ideale", il meccanismo mentale che molte volte ne consegue è quello dell'effetto contrasto: saremo infatti portati a cancellare dalla memoria o a svalutare tutti i candidati che avremo selezionato prima e dopo di lui, appiattendo il nostro modello decisionale su un'unica possibile scelta ed esponendoci al rischio che, qualora il prescelto non dovesse accettare la nostra proposta, qualsiasi altra persona inclusa nella selezione verrà da noi implicitamente considerata come immeritevole o non all'altezza.
Attenzione: non offrire ad ogni candidato idoneo le medesime possibilità, potrebbe precluderci delle opportunità e farci perdere un candidato giusto per le ragioni sbagliate!
Quando poi ci siamo innamorati di un candidato per le sue abilità che giudichiamo fuori dalla norma, è probabile che siamo vittime del bias della straordinarietà. Ad esempio, un recruiter potrebbe rimanere colpito da un candidato che parla 8 lingue, o che ha 5 lauree, che ha vissuto in tutto il mondo o che è stato allievo del Dalai Lama... Magari queste caratteristiche non centrano nulla con la nostra mappa di selezione, ma a volte rimaniamo talmente abbagliati dalle straordinarie esperienze di un essere umano da smarrire la nostra bussola durante lo svolgimento del recruiting.
Attenzione ai nostri pregiudizi!
Il pregiudizio, ovvero ciò che precede il giudizio e, aggiungiamo noi, molte volte lo offusca.
Colloquiando un candidato, avete mai avuto modo la sensazione che la persona che avete di fronte ragioni esattamente come voi e abbia la vostra stessa visione delle cose? Molto spesso si tratta di un bias, definito come falso consenso, ed è ciò che spinge un recruiter a scegliere (o scartare) un candidato solo in virtù della condivisione di un sistema valoriale.
Attenzione anche ai pregiudizi impliciti come gli stereotipi.
Vi è mai capitato, ad esempio di valutare un candidato migliore di un altro solo perché , ad esempio, si è laureato presso un’università più prestigiosa? Avete mai pensato che una risorsa, soltanto in virtù di un suo passato sportivo-agonistico, sia più indicata di un altro per un lavoro di team?
Se avete risposto di si, probabilmente potreste essere vittime di pregiudizi inconsci...
Come fare per eliminare i bias nel nostro processo di recruiting?
I bias che abbiamo qui catalogato sono solo una piccola parte delle interferenze che si possono verificare in sede di colloquio.
Partiamo da una considerazione ovvia: una valutazione priva di errori di giudizio è pressoché impossibile perché il recruitment è meccanismo di valutazione e, in quanto tale, implica un processo cognitivo di osservazione, lettura e interpretazione della realtà.
Conoscere l’esistenza dei bias cognitivi è però un primo passo per un recruitment più obiettivo.
La buona notizia è che si posso adottare alcuni accorgimenti utili per poterne ridurre la loro incidenza: in primis, l’essere consapevoli di tutta questa serie di errori è il punto di partenza per cominciare a prenderne atto ed evitarli.
Il dovere di un recruiter è quello di chiedersi se le proprie decisioni sono influenzate da altri fattori, correggendo eventualmente le proprie valutazioni. La formazione e l'auto osservazione sono i punto di partenza necessari ed essenziali per svolgere questo mestiere.
Quando stiamo svolgendo un colloquio, è fondamentale analizzare e registrare in modo sistematico tutti i dati relativi ai requisiti richiesti dalla professione in termini di conoscenze e competenze.
La tecnologia in questo ci viene in soccorso: un modulo di registrazione dei dati, un software Saas, oppure anche solo una registrazione audio o video (con opportuna autorizzazione da parte dal candidato) ci aiuterà a fissare quelle informazioni che altrimenti rischierebbero di andare perse durante l'iter di selezione.
Ricordiamoci che non siamo soli! Molte volte, per ridurre i bias, basta soltanto farsi affiancare da un altro selezionatore, sia per ridurre gli errori di giudizio sia per aumentare il numero di informazioni recepite.
Se nel processo di selezione sono impegnate più persone, consigliamo l' anonimizzazione dei CV, per poter condividere facilmente con colleghi e clienti i CV anonimizzati dei candidati, nascondendo alcune informazioni sul candidato (nome, cognome, email, foto, genere, nazionalità, scuola ecc.) che potrebbero influenzare i recruiter, valorizzando contemporaneamente le competenze.
Infine può essere utile l’impiego di test di personalità e test psicoattitudinali, in quanto ci forniranno delle informazioni oggettive sul candidato e rappresenteranno uno spunto di approfondimento da utilizzare in corso di colloquio.
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